I disturbi alimentari in tempo pandemico – Esempio clinico 2

Maria mi viene inviata da una collega che fa parte della nostra equipe, per un consulto dopo essere scesa sotto la soglia dei 34 chilogrammi.

Questa donna lavorava nel campo dell’informatica, da sempre assidua frequentatrice di palestre e cultrice del fitness, viene licenziata non appena la ditta subisce le restrizioni imposte dal governo.
Maria non è molto lontana dalla morte, essendo ormai il suo fisico logorato e stremato.
Sono 19 I chilogrammi svaniti in circa 90 giorni di solitudine.
Di comune accordo con gli altri professionisti segnaliamo la assoluta necessità di un ricovero, almeno temporaneo.

Esce dall’ospedale pesando circa 40 chilogrammi, il che le è sufficiente per affermare: ’ora sto bene, le mie analisi sono a posto ’.

Colpisce in maniera eclatante la distonia tra il suo dire e il suo corpo.
Nel viso scarnificato l’espressione della bocca perde espressività, le gambe sono talmente assottigliate che a fatica riesce a fare le scale che portano al mio studio senza utilizzare un appoggio.
Risalta il costato ormai totalmente scarnificato comprovato da un bmi terrificante. ‘Io sono abbastanza forte adesso’.

Su queste premesse, in stridente contrasto con un adeguato esame di realtà, iniziano i colloqui.
‘Se lei sta bene, e non avverte nulla che non vada, a fatico capisco cosa la porti qua’, inizio io.
‘No, io nel corpo sto bene. Sono altre le cose che mi hanno fatto male, specialmente gli uomini dopo mio padre.’

La storia di questa donna e contrassegnata dall’umoralità dell’Altro che la tiene in pugno. Da ragazzina il padre padrone ne gestiva la vita, decidendone le sue condotte amorose, scegliendo il suo percorso di studi, i piccoli lavoretti.
Si fidanzò con un ragazzo dalle maniere brutali e manesche, col quale portò avanti una relazione intermittente, fatta di fughe e ritorni, durata almeno sei anni.
Quello è il periodo di maggior riduzione della massa corporea e intensificazione dell’attività in palestra. In quell’ambiente conosce un sedicente ‘personal trainer’, figura ambigua e senza scrupoli il quale, pur intuendo la
sua fragilità, le somministra piani di allenamento sfiancanti inducendola a perdere ancora peso.

In questo ultimo periodo di solitudine forzata, disoccupata e chiusa in casa, questa nefasta figura si è inserita profittando della sua innata tendenza a farsi oggetto dell’Altro, propinando da remoto i suoi programmi di dimagrimento personalizzati nonché rigide tabelle di allenamento.

La chiusura imposta ex lege dal Governo dunque ha acuito non già un disturbo alimentare tout court, quanto uno stato severo di dipendenza dall’altro preesistente, sfociato in un assottigliamento pericolosamente vicino alla consunzione

Dunque un caso (quello di Maria come quello di Emma descritto nell’articolo precedente) di disturbo del comportamento alimentare non generato, ma acuito dalle restrizioni che il covid ha imposto. Caso che, senza le limitazioni contenute nei diversi Dpcm che hanno scansionato questa triste primavera, sarebbero forse rimasti silenti e compensati, indirizzando la vita di questa donna su binari differenti, meno traumatici.

Un effetto sorpresa, quello della pandemia, che l’ha costrette a disfarsi della zavorra con la quale era ormai assuefatta a vivere, proprio come Padre Gabriel con un colpo di spada libera De Niro dal peso che aveva scelto di portare sulle spalle per espiare la morte del fratello.

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